oi c’è quell’amico che in una calda serata di inizio luglio, col sorrisetto paraculo delle occasioni speciali, rivela a te e alla comitiva il suo straordinario progetto per l’estate: “Raga, ho trovato, andiamo in Salento”.
Siete al Bar Centrale, che si chiama così perché affaccia sull’unica piazza del paese. Sul tavolo di plastica giacciono settantaquattro bottiglie di Peroni e due di gazzosa. La saggia proposta del solo amico giudizioso (“dài, raga, oggi andiamo leggeri: birra e gazzosa”) è andata palesemente a puttane. Del resto, ormai il sabato sera al paese non tentate più di ammazzare la noia e l’abitudine: le coltivate proprio. E bisogna pur annaffiarle in qualche modo.
“Sì, perdio, Salento! lu sule, lu mare, lu jentu” insiste il tuo amico, che è già entrato nello spirito festaiolo salentino. Gli altri, non si sa bene se a causa dell’elevato tasso di alcol nel sangue (o di sangue nell’alcol), sembrano entusiasti. “Finalmente una c***o di vacanza alternativa!” prorompe un altro. “Io ci sto! E poi si sa che in Salento si tromba” lo supporta un altro ancora. L’entusiasmo è tale che in pochi secondi spuntano carta e penna e si comincia a fare l’elenco delle cose da portare.
Ad un certo punto, abbandoni il bianco opaco del tavolo, quella scritta “Monica fa le pompe gratis” con tanto di numero di telefono sapientemente incisa da qualche bontempone, per tornare a guardare negli occhi il genio delle vacanze. Già lo vedi ballare la pizzica come un c******e ubriaco lercio, tutto sudato con quei pantaloni arcobaleno di m***a. Già lo vedi con una bottiglia di plastica piena di un vino rosso di quarta scelta; te lo immagini nitidamente saltellare cantando una canzone dei Sud Sound System insieme ad una coi capelli cortissimi che indossa una gonna svolazzante ed è equipaggiata di piercing al naso d’ordinanza. Vedi persino le foto con gli occhi da pesce lesso in cui sarà taggato dalla suddetta ragazza che di nome fa Maria Sole e che ogni anno da quando era poco più che maggiorenne scende nel profondo sud perché lu sule, lu mare, lu jentu.
Tu non reagisci, cerchi di mantenere la calma. Ti alzi pacatamente, ti avvicini all’amico col sorrisetto paraculo, quello che ha avuto l’idea geniale, e gli molli uno schiaffone. Ma forte. “Ma che sei impazzito?!” urla lui esterrefatto. Non rispondi, torni a sedere. Sei una sfinge. Gli altri non capiscono bene ma percepiscono che qualcosa di grande, di rivoluzionario sta per accadere.
“La vacanza in Salento ha rotto il c***o” dici allargando le braccia come a significare “scusa, avevo l’obbligo morale di schiaffeggiarti”. E ti metti ad elencare.
La pizzica ballata alla c***o di cane; i tamburelli; gli sconosciuti che ti ritrovi in giro per casa la mattina dopo una notte di cui non ricordi niente di niente; gli alternativi che fanno la vacanza alternativa perché non trovano alternative all’essere alternativi; il vino nelle bottiglie di plastica; le canne perché “semo de sinistra”; lu sule, lu mare, lu jentu; il fatto che ci vanno tutti, ma proprio tutti; il reggae salentino a tutto volume che manco fossimo a Kingston, Giamaica; i punkabbestia coi cani; quelli che, per entrare nel mood salentino, cercano di parlare il dialetto locale mettendo lu davanti a qualsiasi parola; l’articolo lu; qualsiasi parola della lingua italiana seguita dall’articolo lu; le orde di fighetti milanesi affamati di sole, mare e pittule.
I tuoi amici ti guardano allibiti. A loro quelle cose piacciono (persino i milanesi); loro la farebbero una vacanza così, ci si butterebbero a peso morto nel luogo comune vacanziero. Allora capisci che non c’è più niente da fare: è già tutto deciso. Ti senti solo, infinitamente solo ma per una volta incredibilmente lucido. “Sì, la vacanza in Salento ha proprio rotto il c***o” pensi. Poi ti alzi, saluti tutti e torni lentamente verso casa.
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