AVELLINO-BARI: I NUMERI, LA PAURA E LE PROMESSE TRADITE

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AVELLINO-BARI: I NUMERI, LA PAURA E LE PROMESSE TRADITE

Messaggioda Lo Strillone » 10/05/2017, 13:59

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Comincio da un dato di fatto, che è al contempo una critica estendibile ormai alla maggior parte del mondo u****s: il crollo dei numeri. Avellino-Bari è senza dubbio una delle sfide più sentite e storiche nel contesto delle rivalità italiane. Classica partita in cui si mettono di mezzo amicizie e rivalità contrapposte oltre a una prossimità geografica che ha sempre permesso ottimi esodi dall’una e dall’altra parte.

Che le presenze negli stadi italiani siano ormai vertiginosamente crollate non lo dico certo io, quindi è del tutto fisiologico che anche questo genere di match faccia registrare una vera e propria “diaspora” da parte di chi per anni li ha attesi con fervore ed ansia.

Pertanto la premessa è: se dal pubblico di casa ci si poteva attendere qualcosa di più, considerata anche l’importanza vitale di questa partita in chiave salvezza, anche dagli ospiti mi attendevo un settore un pochino più “gonfio”. Se è vero che il Bari sta disputando un campionato anonimo e con tutta probabilità non ce la farà ad agganciare il treno playoff (sempre che questi si disputino, beninteso) è altrettanto vero che quello del Partenio è pur sempre uno scontro caldo e sentito, e in questi frangenti i supporter pugliesi non si sono mai fatti parlar dietro a livello numerico.

Ovviamente, al netto di questo appunto, va tenuta presente una situazione in cui – a livello nazionale – il calcio va sempre più divenendo un prodotto poco amato e malvisto, se si vuol passare un pomeriggio di spensierata allegria. L’allontanamento di massa – infatti – non è avvenuto tanto dagli ambienti curvaioli, quanto tra i tifosi “normali”. E questo ha letteralmente spezzato l’equilibrio di una perfetta dorsale su cui si reggeva l’alchimia tra pallone e pubblico. La repressione, i prezzi di trasporti e biglietti alle stelle, i continui scandali legati alla regolarità dei campionati (e quindi la credibilità del calcio) hanno fatto il resto.

Il cielo plumbeo diviene, con il passare del tempo, sempre più nero sull’Irpinia, tanto che qualche goccia verrà di tanto in tanto spruzzata sul manto verde durante l’incontro. La tensione si taglia a fette tra il pubblico biancoverde: la squadra di Novellino è lentamente tornata tra le sabbie mobili della zona retrocessione e ora guarda pericolosamente verso il basso, con la malcelata paura di finire nel baratro, spettro a dir poco drammatico per un’intera città, che ormai da qualche anno ha imparato ad assaporare nuovamente la stabilità tra i cadetti, godendo anche di un paio di bei campionati che hanno fatto letteralmente sognare i tifosi del Lupo.

Ma oggi c’è da difendere la categoria. E allora poco importano sterili polemiche e situazioni esterne che da inizio campionato hanno inficiato pesantemente sul calcio giocato.

Dall’altra parte – come detto – c’è il Bari. Qualche giorno fa mi ha fatto sorridere un commento letto in rete, dove si metteva in parallelo la recente storia calcistica dei Galletti con quella dell’Internazionale degli ultimi anni. Un paragone non proprio avventato, soprattutto se si pensa al denaro speso e ai risultati quasi mai raggiunti. Così come, prima di partire per Avellino, chiacchierando al telefono con un amico di Roma, mi sono trovato d’accordo con una sua considerazione: “Penso che Bari, sotto certi aspetti, sia un po’ come Roma: una piazza grande, passionale e che meriterebbe altro, ma dove troppo spesso giocatori e personaggi fuori luogo e non rispettosi, si sono presi la libertà di tradire un popolo così fiero e attaccato ai propri colori”. Già, non mi sento di dargli torto.

Le vecchie gradinate in cemento del Partenio sono sempre un ottimo viatico per assistere a un match di calcio. Ci si entra sapendo che anche loro – assieme al terreno di gioco – hanno respirato la stessa aria di campioni come Platini, Maradona, Falcao e Zico e su quelle lastricate si sono avvicendati veri e propri mostri sacri del tifo italiano. Ma non è solo la Serie A disputata dagli irpini a lasciarti indosso quel senso di “storia”, ma anche tutte le battaglie consumatesi nelle categorie inferiori; quelle fototifo che hai visto di volta in volta crescendo, e che ti fanno imparare la geografia e la storia del tifo. E questo vale non solo per il settore ospiti, ma anche per tutte le vecchie sigle del tifo avellinese.

Ci sono luoghi dove per forza di cose il tempo resta invariato. L’ho detto numerose volte e lo ripeterò allo sfinimento: non c’è Juventus Stadium che tenga di fronte a veri e propri monumenti come questi.

Le due squadre fanno il proprio ingresso in campo e nella Curva Sud fa capolino qualche fumogeno di colore verde. Mentre il tifo viene coordinato dalla balaustra centrale assieme alla solita miriade di bandieroni che addobba alla perfezione il settore caldo del tifo casalingo. Il blocco centrale tira le redini, non smettendo mai di sostenere il Lupo, anche se quest’oggi – c’è da dire – non viene aiutato da due cose fondamentali: la pioggia, che spinge molti tifosi ad accasarsi momentaneamente nell’anello inferiore, per poi tornare su quando Giove Pluvio decide di chiudere i propri rubinetti, e il pathos per la partita.

Un pathos che cresce ancor più quando il Bari trova il vantaggio su calcio di rigore, nelle fasi iniziali del primo tempo. Un risultato che spaventa mortalmente il pubblico di casa. Sebbene gli u****s non mollino, i decibel si alzano inevitabilmente dopo il pareggio – sempre su penalty – siglato dall’Avellino a inizio ripresa. Molto bella la sciarpata effettuata sul finale di partita e tanti i cori contro gli avversari e, di rimando, contro quei salernitani rivali della prossima partita esterna, in uno dei derby più sentiti a livello regionale.

Se la carenza numerica dei baresi è negativa da un lato, ha sicuramente un aspetto vantaggioso dall’altro: in terra campana è venuto soltanto chi è intenzionato a sgolarsi e cantare per i propri colori, al di là di risultati e posizione in classifica. E infatti, a mio giudizio, la performance dei pugliesi è pressoché inappuntabile: cori tenuti per tutti i 90′ con un’ottima intensità, manate, due bandieroni sventolati ininterrottamente e una bella sciarpata nel secondo tempo per colorare il proprio settore.

Che gli u****s del Bari tifino innanzitutto per ciò che la maglia rappresenta, è facilmente deducibile dall’atteggiamento tenuto dopo il fischio finale, quando all’avvicinarsi dei giocatori – quest’oggi in una discutibile mise che ricorda la maglia del Feyenoord (maledetti stilisti prestati al mondo del calcio) – urlano a gran voce slogan contro i “mercenari”, in seguito all’ennesima stagione partita con proclami infiniti e terminata, probabilmente, con un pugno di mosche in mano.

L’Avellino viene invece richiamato a gran voce sotto la Sud: applausi e cori d’incoraggiamento accolgono gli uomini in maglia verde, con il coro “A Salerno senza paura” che rimbomba in tutto allo stadio, chiamando a raccolta staff, giocatori e tifosi, che all’Arechi dovranno dare prova di forza mentale per superare un avversario che – sebbene non abbia più nulla da chiedere al campionato – darà certamente tutto per fare lo sgambetto a una storica rivale.

Il pubblico comincia a sfollare e anche per me è giunto il momento di lasciare gli spalti bagnati del Partenio. I tempi stringono e il mio pullman per Napoli partirà da lì a poco. Portando con sé i primi raggi di sole della giornata che timidamente ricominciano a scaldare questo anfratto di Sud Italia.

Simone Meloni
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